Condividiamo un estratto dell’intervista di Mara Cozzoli a Laura Calabresi, Referente e Supervisore Clinico Comunità 3-12, e Paola Gobbi, Pedagogista Comunità 3-12.
Maltrattamento fisico, abuso sessuale e violenza assistita sui minori: come interviene Associazione CAF.
Come funzionano le vostre strutture?
P. G.
La nostra struttura dedicata ai bambini più piccoli è situata nella zona sud di Milano e si compone di tre grandi appartamenti che tecnicamente vengono definiti Comunità Residenziali. Ogni Comunità accoglie dieci bambini di età compresa fra i tre e dodici anni.
Nel 2014 in zona Bisceglie è nato anche un Servizio di Accoglienza e Cura destinato agli adolescenti nel quale ospitiamo 15 ragazzi dai tredici ai diciotto anni, maschi e femmine, divisi su due Comunità Residenziali.
Nel 2018 a Cesano Boscone, non lontano dalle Comunità per adolescenti, abbiamo aperto anche un appartamento per la semi-autonomia destinato a ragazzi che hanno già compiuto la maggiore età, ma che, non potendo contare su una rete familiare in grado di sostenerli nel loro percorso di avvio alla vita adulta, chiedono di restare nel circuito di tutela dei Servizi Sociali per minorenni al fine di giungere ad avere, via via, una vita sempre più autonoma e indipendente. Questi ultimi vengono seguiti dagli educatori in tutti gli aspetti di costruzione e gestione di un progetto di autonomia individuale basato sull’autonomia lavorativa, finanziaria, relazionale e di gestione della quotidianità.
Parliamo del lavoro educativo.
P. G.
[…] Il nostro è un approccio integrato di tipo psico-pedagogico che viaggia su due binari: quello del supporto educativo e quello del supporto psicologico individualizzato.
L’obiettivo è dare ai bambini un luogo sicuro in cui vivere perché, purtroppo, le loro case e le loro famiglie erano luoghi poco sicuri, nei quali accadevano cose spesso imprevedibili, con genitori, dunque adulti, che spesso non solo non li hanno curati, ma neanche protetti esponendoli a situazioni che un bambino non dovrebbe mai vivere.
Ciò che noi cerchiamo di fare è recuperare e restituire maggiore sicurezza ai minori attraverso la loro collocazione in un luogo sicuro e la relazione con adulti coerenti e rassicuranti; bambini che nella prima fase del percorso in Comunità sono terrorizzati, fanno fatica ad addormentarsi, si spaventano se sentono un rumore o un tono di voce leggermente più alto.
La relazione con gli educatori offre ai bambini la conoscenza di modelli adulti molto diversi da quelli che hanno conosciuto. Queste figure professionali e rassicuranti fanno sì che, con il tempo, il bambino riacquisti nuovamente la fiducia persa nei confronti degli adulti: questa la sfida maggiore.
È un lavoro duro e graduale, che avviene nella quotidianità di una cura terapeutica fatta di tutte quelle attenzioni che questi minori non hanno avuto quando avrebbero dovuto.
Addentriamoci nella parte clinica.
L.C.
[…] Il primo obiettivo è quello di ripristinare un ritmo nella vita dei bambini attraverso le routine giornaliere.
I bambini allontanati dalle loro famiglie hanno spesso sperimentato una quotidianità che non prevedeva alcuna regola e alcun ritmo, con adulti non in grado di garantire una regolarità nei pasti, nei ritmi di sonno e veglia, nella cura dell’igiene. Sono bambini non abituati a vivere come garantito il diritto a un pasto caldo, a un letto tutto loro, ad avere degli effetti personali o degli spazi propri che tutti rispettano.
Le regole e le routine della Comunità aiutano i bambini a ripristinare una condizione di calma e di prevedibilità che faranno percepire il nuovo ambiente come un luogo sicuro. Questa sicurezza consente al bambino di fidarsi e affidarsi agli adulti di riferimento. Solo allora l’esperienza comunitaria può diventare un’esperienza educativa e ricostruttiva.
Un altro elemento fondamentale è garantire, laddove il decreto del Tribunale lo preveda, il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine che non solo non va dimenticata, ma deve restare per i bambini un punto di riferimento stabile.
Inoltre, la maggior parte dei bambini ospiti delle nostre Comunità Residenziali godono di un percorso di psicoterapia individuale. […]
Come avviene il vostro approccio psico-educativo?
L.C.
Il Prof. Charmet, che ha contribuito allo sviluppo della nostra Associazione per lunghi anni, ha definito le Strutture CAF “Comunità educative a orientamento evolutivo”.
Con i bambini della fascia di età tra i 3 e i 12 anni, basiamo il nostro intervento sulla relazione. Le diverse correnti della psicologia evolutive sono concordi nel sostenere che non c’è apprendimento senza relazione e l’esperienza ci conferma giornalmente che il processo educativo non può prescindere da questa.
I nostri educatori, ogni giorno, mettono la loro competenza e tutta la loro persona al servizio dei bambini costruendo con loro una relazione, che gradualmente consente al bambino di conoscere singolarmente gli adulti che si occupano di lui prendendosene cura, ognuno con la sua specificità e con il suo stile.
Nel momento in cui questi bambini riescono ad avere una relazione di fiducia con gli educatori-adulti il processo di cura è, sicuramente, velocizzato. […]
Entriamo nel merito del rapporto con le famiglie.
L.C.
Sono rapporti che vengono profondamente presidiati e curati in tutti i passaggi. Solitamente i bambini incontrano i familiari in Spazio Neutro, cioè in un luogo diverso dalla Comunità residenziale e sempre alla presenza di un operatore specializzato.
I bambini conoscono il calendario delle loro visite che aspettano animati da sentimenti ed emozioni potenti e a volte contrastanti. È importante lavorare con loro affinché giungano agli incontri sereni e in grado di godere fino in fondo dell’esperienza. Un educatore accompagna il bambino agli incontri avendo cura di sfruttare anche il tempo del trasferimento per monitorare la condizione emotiva del bambino, supportandolo e rassicurandolo. […]
Cosa significa dare indicazioni sul senso educativo?
L.C.
Quando giunge una richiesta di accoglienza per un minore da parte dei Servizi Sociali ci attiviamo per raccogliere tutte le informazioni disponibili sul suo vissuto, sulla sua storia. Su queste basi l’equipe stabilisce in quale delle Comunità Residenziali inserirlo, condividendo con gli educatori della Comunità prescelta le informazioni sul bambino e progettando insieme il percorso di accoglienza.
Il bambino è generalmente accolto dal Coordinatore, che stabilisce quale sia l’educatore che lo seguirà per tutta la prima giornata in Comunità in modo da fornirgli, sin da subito, un punto di riferimento che lo accompagnerà per tutta la durata del suo inserimento.
Quando arriva da noi, il bambino trova la sua stanza addobbata con cartelli di benvenuto e un regalino pensato per lui. Generalmente viene accolto al mattino, mentre gli altri bambini sono a scuola, in modo da gestire i primi momenti dell’accoglienza con gradualità e tranquillità.
Gli altri bambini vengono avvisati con anticipo del nuovo arrivo e sono sempre molto accoglienti col nuovo ospite. Nulla è lasciato mai al caso. […]
Quando vi trovate innanzi a queste situazioni nel quale il minore è stato profondamente ferito dall’adulto, qual è il miglior approccio? Sempre che esista un miglior approccio…
L.C.
[…] È molto importante aiutare i bambini a ricostruire la loro storia, il percorso che li ha portati alla separazione dai genitori e all’allontanamento dalla loro casa. Questa ricostruzione viene fatta attraverso interventi graduali concordati nell’equipe e monitorati durante le psicoterapie.
[…] L’approccio graduale permette di guadagnare fiducia… con il tempo li vediamo sempre più rilassati, perdono l’espressione terrorizzata che hanno al loro arrivo in Comunità o gli occhi stanchi e spenti.
Iniziano anche a rifiorire fisicamente, qualcuno ricomincia letteralmente a crescere.
Occorre, inoltre, non essere intrusivi nella vita dei bambini. Aspettare ed essere pronti, attraverso un ascolto attivo, ad accogliere eventuali loro confidenze che non saremo mai noi a sollecitare, perché in nessun modo dobbiamo o possiamo assumere atteggiamenti indagatori.
Sono momenti emotivamente molto forti e bisogna essere capaci di ascoltare senza introdurre o indurre interpretazioni, ma accogliendo con rispetto e amorevolezza questi racconti, che spesso sono dolorosi e pesanti. Mano a mano che si affidano, i bambini raccontano e condividono la loro storia, le loro paure, le loro fatiche e i loro sogni.
Sono bambini che spesso pensano di essere la causa di quanto è accaduto all’interno della loro famiglia e si sentono in colpa, ma è importante spiegare loro che i bambini non hanno responsabilità in ciò che è avvenuto.
Abbiamo spiegato che molti bambini hanno, spesso, scatti di rabbia o atteggiamenti provocatori. Cosa si cela dietro queste manifestazioni?
P.G.
I bambini che in Comunità mostrano comportamenti provocatori e aggressivi nei confronti di altri bambini, adulti o anche di se stessi, hanno subito a loro volta gravi maltrattamenti: sono stati duramente picchiati dagli adulti che avrebbero dovuto prendersi cura di loro, hanno assistito a violenze fisiche e verbali di un genitore sull’altro, hanno subito molestie o violenze sessuali da figure adulte di riferimento, sono stati gravemente confusi dal maltrattamento psicologico sotteso a tutte queste esperienze traumatiche.
Per questo, una volta arrivati in Comunità, questi bambini possono riprodurre comportamenti violenti e aggressivi, portando con essi la grande confusione in cui si trovano: essi infatti non sanno chi sono, se aggressori, vittime, complici o traditori.
In questo senso, l’obiettivo della Comunità è di proporre le primissime azioni di riparazione al dolore e al danno che è stato prodotto in questi bambini.
Ai bambini spieghiamo che in Comunità la violenza, in tutte le sue forme, non entra e che i bimbi sono vittime del loro vissuto pregresso.
Torniamo ancora al senso di colpa, dunque.
Come riuscite a spezzare il senso di colpa che sorge nei bambini?
[…]
P.G.
Un altro grosso lavoro che facciamo è quello sull’autostima. I bambini che incontriamo non si sentono degni d’amore. Nella loro storia erano quelli che non avevano mai il materiale scolastico o quelli sempre sporchi o vestiti in maniera inadeguata, che non potevano mai fare nessuna attività.
Rientra nel ruolo degli educatori la cura dei bambini accolti, che hanno alle spalle esperienze di deprivazione e incuria: se ben accuditi i bambini possono iniziare a ricostruire una diversa immagine della propria persona, a sentirsi più belli, più puliti, più sereni, ad accettarsi per quello che sono.
Grande importanza ha per noi anche il curare e pensare gli spazi all’interno dei quali si struttura l’esperienza di vita dei bambini; avere un luogo ordinato e bello, delle stanze dotate di tutto il necessario, dove riporre i propri giochi, una libreria dove è facile prendere un libro, un angolo in cui stare tranquilli. In un contesto curato i bambini crescono più consapevoli di sé e del mondo che li circonda. […]
Prima di concludere c’è un’ultima domanda che voglio farvi: quant’è difficile per un bambino la presa di coscienza di ciò che gli è successo e gli sta succedendo?
L.C.
Mi verrebbe da dire tanto e poco… sono esperienze difficili da comprendere anche per un adulto strutturato, ma la vitalità di questi bambini, se ben stimolata e recuperata, produce un’accelerazione molto potente. Abbiamo una visione molto positiva della loro capacità di comprensione e recupero.
Fonte: Milanopiùsociale.it– 12 Febbraio 2024
Anche tu puoi offrire un aiuto prezioso in questo importante lavoro al fianco dei bambini vittime di gravi maltrattamenti.
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